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Interviste impossibili



Intervista a Moby Dick

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Sono all’interno di una campana iperbarica sospesa nel vuoto blu dell’oceano a cento metri di profondità. Sto aspettando Moby Dick che non ha accettato di farsi intervistare in superficie; non si fida “molto” di noi esseri umani.
Fa un caldo infernale qua dentro e non ho altro da fare che guardare i miei pensieri sciogliersi in gocce di sudore; poi, dopo un’attesa di svariati minuti la struttura metallica della campana viene attraversata da un gemito profondo, capisco che il leviatano è finalmente arrivato.

E “Ben arrivato Moby”.
M “Non ti auguro altrettanto umano”.
Non mi stupisco di un fare così sgarbato, spero solo di riuscire a portare avanti quest’intervista.
E “ Moby una precisazione, tu mi sembreresti un capodoglio, anche se di dimensioni eccezionali, e infatti spesso vieni chiamato balena; ecco, cosa sei esattamente?”.
M “Oltre che umano sei anche ignorante, hai mai visto una balena con dei denti come i miei?”.
E “Sì hai ragione, comunque sei proprio enorme, quasi trenta metri di lunghezza per novanta tonnellate di peso”.
M “E come avrei fatto altrimenti a diventare la vostra preda più terrifica e ambita nel contempo”.
E “Adesso non ti prendere troppo sul serio, ricordati che sei solo una creazione della fantasia di Melville”.
M “La tua superficialità non ha limiti! Io sono veramente esistito e il mio nome era Mocha, Mocha Dick”.
Effettivamente lo scrittore americano si è ispirato a fatti di cronaca presunti reali per la stesura del suo grande romanzo.
E “D’accordo procediamo con l’intervista e anche se capisco che per te possa essere spiacevole, vorrei parlarti del tuo implacabile nemico, il capitano Achab”.
M “Stolto uomo, sapevo che non potevi fare a meno di tirare in ballo quel pazzo, in bilico fra il sognarsi Dio e l’ossessione del macellaio, convinto che la sua personalissima sete di vendetta fosse una nobile lotta contro il male. D’altronde voi uomini siete molto bravi a spacciare le vostre pulsioni più misere per grandi lotte ideali”.
E “Vero Moby, spesso abbiamo confuso fra loro nobili sentimenti e interessi egoistici, ma non tutti gli uomini, o perlomeno non sempre, agiscono così”.
M “Ma che dici, una razza che racconta la sua storia in una mattanza infinita, con degli Dei iracondi e vendicativi non ha speranze è marcia dentro”.
E “Parole grosse, forse anche tu sei turbato per la paura di quel piccolo uomo che, con tanta determinazione ti ha dato la caccia per poi infine ucciderti, pur perdendo anche lui la vita”.
M “Sei sicuro che fosse Achab a dare la caccia a me e non fosse in realtà il contrario? E guarda che, il ‘tuo’ capitano non ha perso sola la vita quel giorno, ma l’anima, l’anima ha irrimediabilmente e definitivamente smarrito!”.
E “Strano, non hai reagito alla mia accusa di aver paura di Achab?”.
M “Certo che avevo paura! Voi umani siete la razza più stupida e malvagia che abbia mai solcato gli oceani, attributi che messi insieme vi rendono ben spaventevoli. Ma attenzione, anche se la vostra infinita presunzione vi può far pensare di essere voi l’essere più terrificante di tutti i mari, io sono sceso così in fondo agli oceani, così in profondità nei recessi oscuri del mondo, che ho visto mostri che voi non osereste neanche immaginare, leviatani così immensi da fermare il cuore e muovere il mare con un respiro”.
E “Credo che tu stia esagerando Moby, penso che semplicemente ti sia imbattuto in un calamaro gigante, e la spaventosa profondità alla quale sarai giunto abbia distorto, ingigantito quello che avevi davanti agli occhi”.
M “M’irridi? Pensi mi faccia impressionare dalla vista di un un Architeuthis dux (calamaro gigante) e non sappia distinguerlo da un vero e proprio Kraken?
Laggiù, nel buio e nel gelo delle profondità oceaniche ho più volte ingaggiato duelli con mostri tentacolari spaventevoli e solo le mie dimensioni, la mia voglia di vivere e la fortuna mi hanno strappato dal loro abbraccio mortale.
Ma giù giù, negli angoli più profondi della coscienza del mondo ho visto rotolare, rivoltarsi esseri senza nome, più neri della pece, più bianchi della paura, quegli stessi mostri che per anni hanno torturato Achab”.
E “Cosa dici? Eri tu il leviatano che torturava l’anima di Achab, eri tu il mostro da uccidere per distruggere il male!”.
M “Una semplice balena, per quanto grande, l’essenza del male? No, Achab combatteva una sua personalissima battaglia con i suoi mostri, i mostri della sua anima. Quei mostri che nessun uomo ha mai il coraggio di guardare. Sapete tutti che albergano in voi, ma vi rifiutate di vederli, di ascoltarli. Achab li aveva visti e per non impazzire, stupido pazzo, e per non farli emergere alla luce del sole, s’incarognì in quel duello mortale con me”.
E “Ma se noi uomini riusciamo a ignorare questi orridi mostri, come fece Achab a vederli?”.
M “Forse gli uomini che voi chiamate pazzi, malvagi, che compiono gesti efferati, sono quegli uomini che hanno visto il lato oscuro della propria anima. Ma certamente fu il grande dolore che io gli inflissi a determinare il suo cambiamento, ad aprirgli i cancelli dell’inferno in vita. Quel giorno che gli divorai la gamba così grande fu il suo dolore che il sangue del corpo straziato si mescolo con il sangue della sua nera anima”.
E “Strano Moby, si direbbe quasi che tu ti senta in colpa per l’odio che Achab provava per te, si direbbe che, sì tu gli abbia dato la caccia per finire quel suo dolore insopportabile, un dolore che nessun uomo dovrebbe provare mai!”.
M “Potresti aver ragione, ma sai uomo cosa vedo? Un essere debole, piagnucoloso, che si dibatte aggrappato a una scintilla di Dio”.

Nuovamente un gemito oscuro mi avvolge, Moby se ne è andato, e io rimango qui, con l’immagine di Achab che giace con il suo dolore in fondo al mare.

giugno 2012 (revisione del 31 marzo 2018)