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Interviste impossibili



Intervista a Ulisse: l'Uomo

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Molto, molto in basso son dovuto scendere per questa intervista. Troppo!
Non so nemmeno come, in un tunnel buio mi sono trovato. Era pieno di genti urlanti, che imprecavano e si accalcavano impaurite. A stento riuscivo a sorreggermi in quella bolgia maligna senza capire dove venivo trascinato. Mi sentivo perso e incominciai anch’io ad urlare impaurito; indietro, indietro, voglio tornare indietro, non voglio più scendere in questo incubo, in questo inferno”.
Ma quando ormai l’angoscia per quella profondità aveva sommerso il mio spirito, mi trovai su un ponte con innanzi una sorta d’iscrizione annerita dal fuoco: “Località ottava bolgia, via dei Consiglieri Fraudolenti”.

Ero ancora scosso, quasi non sapevo più perché mi trovassi in quel luogo dimenticato da Dio, dagli uomini, quando un rumore, come un fremito, catturò la mia attenzione, ed eccola, una doppia fiamma che tutta vibrava davanti ai miei occhi e, inaspettatamente la lingua più piccola prese a parlarmi.

D “Chi sei tu che pretendi di conferire con Ulisse, quando neanche il Divino poeta osò tanto?”
Pronto rispondo.
E “Scusa Diomede, ma con quello che ho passato per arrivare in questa Bolgia credo proprio di meritarmela questa intervista!”.
D “Straniero, nessuno ti ha chiesto di scendere in questo luogo di sofferenza”.

Capisco di aver sbagliato approccio.

E “Per piacere lasciami parlare con lui. Ricordo ancora, quando bambino vidi l’Odissea in televisione e quell’uomo vecchissimo che declamava i versi del poema all’inizio di ogni puntata; sapevo che non era Omero, ma capivo che era un grande uomo. Anni dopo seppi che anche lui era un poeta, era Giuseppe Ungaretti”.
D “E allora?”.
E “Per me Ulisse è la grandezza e la grandezza è Ulisse …”.
Fu come un crepitio, poi la fiamma più piccola arretrò lasciando avanzare la lingua più grande, che quasi sembrò prendere la fisionomia di un volto incorniciato da una barba e …, e parlò.
U “Grazie Diomede, amico mio, ma questo sconosciuto merita di conoscere la verità, anche se probabilmente dopo non ne sarà tanto contento”.

Pur non comprendendo bene il significato delle parole del mio eroe, felicemente sorpreso mi affrettai a interloquire.

E “Grazie Ulisse”.
U “Parla pure uomo?”.
E “Prima di iniziare l’intervista vera e propria, se non ti offendi, vorrei togliermi una curiosità”.
U “Procedi pure, ti accorgerai che non è facile scalfire la mia suscettibilità”.
E “Ho sempre avuto qualche perplessità sulla figura di Achille. Troppo facile fare l’eroe quando si è quasi totalmente invulnerabili e si gode della protezione degli Dei. Mi sembra che ben altro sia lo spessore eroico di Ettore. Ecco, tu chi ritieni sia stato più valente fra i due eroi?”.
U “Guarda, non è che amassi molto Achille, un bestione ottuso e iracondo sempre pronto a menar le mani, ma anche Ettore, mi dispiace deluderti, non era niente di che. Troppo bigotto e poi quell’ostinazione a voler difendere a tutti i costi il debosciato del fratello Paride.
Ma ciò che meno ti piacerà è che, il famoso “Domatore di cavalli”, era un vigliacco”.
E “Un vigliacco?”.
U “Anzi, ti dirò di più; Ettore è morto proprio per la sua vigliaccheria”.
E “Scusa Ulisse, ma dare del vigliacco all’uomo che osò sfidare il più forte dei forti, il prode Achille!?!”.
U “Certo, Ettore era un grande stratega, sotto la sua guida l’esercito troiano non ha mai fatto un errore, e un guerriero così intelligente, così esperto, certo sapeva che uno scontro frontale con Achille era solo un suicidio. Sapeva anche che con la sua morte prima o poi Troia sarebbe capitolata.
Poi quel giorno, il Pelide era così furente e spaventevole, che anch’io, pur non dovendolo affrontare, ne ero intimorito”.
E “Vedi che ti sbagli Ulisse, all’inizio del combattimento Ettore scappo, ma poi vinse la sua paura e …”.
U “Quella di correre via era la scelta giusta! Io non so se pensava di sfuggire al mirmidone, o se era una tattica per fiaccarne le forze. D’altronde, quello che pochi sanno è che Ettore era più veloce di Achille. Ma poi il troiano, giunto al terzo periplo delle mura di Troia ebbe paura della sua paura.
Probabilmente fu il vedere lo sgomento dei suoi concittadini, che dall’alto delle mura lo guardavano scappare, forse fu il correre al disprezzo che avrebbe letto negli occhi di suo figlio una volta cresciuto, forse, forse non so, ma Ettore stoltamente e aggiungo vigliaccamente, si fermò.
Prima scagliò la sua asta Achille, senza cogliere il bersaglio, poi fu la volta di Ettore, ma la sua lancia s’infranse sullo scudo del rivale. In quel momento, il figlio di Priamo capì di essere perduto; avrebbe voluto riprendere la fuga, ma il destino beffardo, congelando le sue membra per la paura, salvò il suo onore, ma non la sua vita.
La spada di Achille le carni del collo gli lacero crudelmente”.
E “Però poi Achille mancò di rispetto a Ettore, trascinandolo barbaramente a rimorchio del suo carro!”.
U “Achille è stato un guerriero invincibile, ma come garbo certo non ha primeggiato, anzi cerchiamo di sgombrare il campo da strane idee: se hai in menta quel film, come si chiama? A sì, Troy. Ecco, Brad Pitt ed Eric Bana, dimenticali! Tu pensa a degli energumeni tozzi, neanche tanto alti, con le barbe incolte e sporchi. Io stesso non ero una bellezza: basso, tarchiato, barba nera lunga, capelli ricci e uno sguardo più da ladro che da principe. D’altronde a quei tempi se non eri svelto di mano campavi poco”.

Devo ammetterlo, per adesso il mio grande eroe mi sta deludendo, e incomincio a chiedermi se poi è proprio vero che sia riuscito a ferire il cuore di donne straordinarie quali Calipso, Circe, Nausica e Penelope.

E “Cambiamo argomento Odisseo, parliamo del tuo avversario più impressionante, il ciclope Polifemo”.
U “Avrei voluto non parlare di lui”.
E “Perché?”.
U “Beh, vedi, la storia non è andata proprio come si racconta”.
E “A questo punto gradirei ascoltarla”.
U “Beh, innanzi tutto era si imponente, ma non proprio come si dice. Era un pezzo d’uomo di due metri e ti assicuro che per l’epoca era gigantesco; lo stesso Aiace, il più grande di noi Achei, non arrivava a un metro e ottanta”.
E “Comunque aveva un occhio solo sulla fronte”.
U “Più che altro era guercio, aveva perso un occhio in un incidente da bambino. E poi era debole di mente. I suoi fratelli gli avevano dato da guardare le pecore perché era l’unica occupazione che fosse in grado di svolgere”.
E “Ma allora tutto quello che si racconta …?”.
Grave, la voce di Ulisse, m’interruppe.
U “Quel mattino sbarcammo dalla nave già un po’ alticci e quando vedemmo tutte quelle pecore accompagnate da quel grosso bestione ottuso, decidemmo di divertirci un po’.
Ci avventammo su di esse sgozzandole senza misericordia; e non una, due, ma come accecati da una furia omicida insensata ne uccidemmo almeno una ventina.
Stavamo continuando nella nostra strage insensata quando afferrai l’armento preferito di Polifemo, un grosso montone; solo a quel punto il gigante intervenne pregandomi di risparmiarlo. Ma io ero Ulisse, non potevo certo ascoltare le preghiere di un bifolco per quanto grosso fosse e così tagliai la gola alla povera bestia irridendo il gigante.
Fu a quel punto che il Ciclope, pazzo di rabbia e di dolore ci assalì e nonostante le dimensioni si dimostrò maledettamente agile e veloce. Riuscì con la sua mazza a fracassare la testa a sei miei compagni e nel frattempo urlando a squarciagola chiamava i suoi fratelli che, pur non alti come lui erano degli energumeni di tutto rispetto.
La situazione si stava facendo difficile, allora, senza farmi notare, dissi a due dei miei compagni di piazzarsi dietro il gigante tendendo tirata una corda, quindi predisposta la trappola, lo fronteggiai con la mia spada, facendo comunque ben attenzione a non avvicinarmi troppo, ma riuscendo a farlo indietreggiare quel tanto che bastò a farlo inciampare nella canapa tenuta tesa dai miei uomini. Non persi tempo, gli volai subito addosso e con un bastone appuntito gli cavai l’occhio che gli era rimasto. Non contento incominciai a urlare verso i fratelli che si vedevano arrivare in distanza che, se anche io per loro non ero nessuno, ero riuscito a cavare l’unico occhio allo stolto del loro gigantesco fratello. Solo allora, con le mani ancora lorde di sangue scappammo rapidi e sghignazzanti verso la nostra nave”.
E “Ma è terribile!”.
U “Trovi?”.
E “Tu non sei l’eroe che conoscevo. Il latte della mia fantasia erano le tue gesta, i miei ideali si dissetavano all’idea del tuo spirito indomito”.
U “E bravo hai proprio capito tutto!?! Quindi per essere un eroe bisogna essere mossi da nobili sentimenti, dispensare giustizia, aiutare i più deboli, essere forti, molto forti e magari anche un po’ aristocratici. Ma sei sicuro di aver letto i poemi di Omero?”.
E “E’ vero, forse ti ho idealizzato, ma uno straccio di ideale devi pur averlo? Poi, quella crudeltà insensata”.
U “Già tu non uccideresti mai, neanche un agnellino! Però ne mangi la carne, ma certo solo il giusto”.
E “Sì, è vero, ma che c’entra, non sto mica parlando di perfezione”.
U “Dei dell’Olimpo quanto sei stupido straniero! Pensa, voi per non affrontare la realtà vi siete riempiti di complessi, quasi non avete il coraggio di possedere la vostra donna, tremate al pensiero che gli scaffali dei vostri negozi siano vuoti e se avete un raffreddore fate testamento. Noi vivevamo in un modo ostile e sconosciuto, un tuono era la voce benevola o irata di un Dio, dietro ogni albero si poteva celare una fiera spietata, per non parlare che potevi trovarti una spada piantata nella schiena in qualsiasi momento. Alla fin fine arrivare al giorno dopo con la pancia piena era già un traguardo. E gli uomini, la maggior parte degli uomini avevano bisogno di un condottiero che li guidasse a vedere l’alba dell’indomani. Così diventai un re, un eroe, anche se principalmente pensavo alla mia pancia.
Ho sempre avuto in uggia quegli smidollati che ti criticano per le tue scelte e le azioni che ne conseguono, mentre loro si guardano bene dallo sporcarsi le mani e rimangano sempre solo a guardare, sempre pronti a dire, hai sbagliato, sei un poco di buono.
Ma mangiare mangiano anche loro, eccome se mangiano”.
E “Certo non voglio toglierti i tuoi meriti e so che scegliere significa anche sbagliare, ma allora non capisco perché sei partito per quel tuo ultimo viaggio senza ritorno. La pancia e il nerbo li avevi ormai soddisfatti?”.
U “Perché sono un uomo!”.
E “Che vuol dire?”.
U “Noi esseri umani siamo il peggio del creato. Tutte le nefandezze che si possono pensare non bastano a riempire l’otre dei nostri crimini. Abbiamo corrotto anche gli Dei alle nostre meschinità, e voi ‘moderni’ avete addirittura fatto nascere un Dio a vostra immagine e somiglianza. Ma c’è qualcosa che ci eleva dalla nostra misera condizione ed è la nostra capacità di sognare, è quella pazza temerarietà che induce alcuni di noi a inseguire i sogni, pur sapendo che sono irraggiungibili. Ed è proprio in questi folli voli che diventiamo grandi, che a volte riusciamo a realizzare l’impossibile”.
E “Ma quanto coraggio c’è voluto a partire per un viaggio fino alla fine del mondo!?!”.
U “No, ti sbagli, non è coraggio è inconsapevolezza. Tu sai che è estremamente rischioso, ma in realtà non lo capisci, non senti il pericolo, ne sorridi. E’ questa la nostra forza, questa leggiadra incoscienza che ci fa affrontare pericoli immani e credere nei sogni. Se la nostra razza fosse composta da soli uomini di buon senso saremmo già scomparsi dalla faccia della terra da millenni”.
E “Mi vuoi dire che quando tu partisti in realtà era come se stessi giocando a fare l’eroe?!?”.
U “Sì, hai capito! Giocavo, giocavo con la mia vita, con la vita dei miei uomini e mai avrei avuto il coraggio di partire se avessi veramente saputo cosa stavo facendo. Solo l’incoscienza, la sete di avventura e la voglia di vivere mi hanno permesso di entrare nella leggenda e di scrivere uno dei più meravigliosi capitoli della storia dell’uomo …”.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

Improvvisamente due scuri figuri sbucati dal nulla mi prendono di peso e m’imbarcano su una specie di montacarichi che rapido inizia a risalire i cerchi dell’Inferno, i dubbi della mia anima.

Sì, Ulisse è l’essenza dell’uomo, intriso com’è di umana miseria, con la consapevolezza della sua mortalità e dell’impossibilità di vincere la sfida con la vita, e nonostante tutto continua a combattere, nel tragico tentativo di raggiunge il suo sogno di grandezza.

Nota. Mentre cercavo su Internet notizie su Ulisse, ho scoperto tardivamente che, il 15 giugno del 2010, all’età di 74 anni, Bekim Fehmiu, l’eccezionale interprete dell’Ulisse televisivo, era morto, forse suicida. Dedico queste mie righe all’indimenticabile Ulisse della mia gioventù.

novembre 2011
gennaio 2015 introdotto episodio di Achille (Leggi la Versione del 2015)
febbraio 2018 revisione