|   Premessa 
        Forse qualche appassionato di fantascienza avrà notato che il titolo 
        di questa favola è un omaggio a Walter Tevis per il suo stupendo 
        "Solo il mimo canta al limitare del bosco". 
      Inizio 
      Toc toc 
        Toc toc 
        Cos’è? 
         
        Toc toc 
        Cos’è questo rumore? 
         
        Toc toc 
        Da dove viene? 
         
        Toc toc 
        Ma, no, un momento… 
         
        Toc toc 
        Il cuore, è il battito del mio cuore. 
         
        Toc toc, toc toc 
        Ma perché allora lo sento anche vicino a me? 
         
        Toc toc 
        E’ il cuore dei miei fratelli! 
         
        Siamo qua, tutti attaccati a questa parete, attenti solo ad ascoltare 
        i nostri cuori. 
        Toc toc, eppure sento qualcosa, uno strano languore che inizia e finisce 
        continuamente, ma certo ho capito, mi tiene in vita. 
         
        Toc toc 
        Il battito e il languore, al momento non sento altro. Solo il languore 
        è sempre più presente, è sempre più simile, 
        simile a fame. 
        Adesso incomincio anche a vedere; non molto, ma vedo i miei fratelli. 
        La loro vicinanza mi tranquillizza, mi dà piacere, vorrei toccarli, 
        ma non posso, siamo sempre incollati a questa parete liscia. 
         
        Poi un giorno uno dei miei fratelli si stacca dalla liscia parete, provo 
        gioia, forse sta per succedere anche a me, forse…, ma com’è 
        strano quel nostro fratello che si avvicina preceduto da un cupo sentire 
        che la felicità sospinge via. Ecco, non è strano è 
        grande, è molto più grande di noi e con la sua bocca si 
        attacca avido al mio fratello più vicino succhiandogli la vita. 
         
        Sono terrorizzato, mi dimeno e finalmente mi stacco da quella liscia prigione. 
        Sono libero! 
        Libero dentro questo strano parallelepipedo illuminato da un sole pallido 
        che non scalda. 
         
        Ma via questi inutili pensieri, adesso ho fame, fame, fame… e un’ombra 
        immensa si erge sul mio mondo, sto per fuggire, ma una nebbiolina si addensa 
        nell’acqua, un sapore pervade la mia bocca, la mia pancia, una sensazione 
        di piacere mi tranquillizza: mangiando, sto mangiando. 
        Così avevo capito, la comparsa dell’ombra al di fuori dell’acqua 
        e il cibo che mangiavo erano la stessa cosa. 
        Con il tempo alla nebbiolina si sostituì una polverina, poi come 
        dei pezzi, o meglio scaglie di cibo. Quel che importava era che quell’ombra 
        portasse con sé la fine della fame. 
         
        A volte dall’ombra discendeva uno strano animale tentacolare, che 
        inizialmente mi spavento molto, poi capii che era innocuo, sembrava che 
        volesse giocare con me e i miei fratelli, e a me non dispiaceva fluttuare 
        fra i suoi “tentacoli”. 
         
        Il tempo passava e io crescevo, tutti noi crescevamo e avevamo imparato 
        a conoscere i confini di quel mondo, in ogni direzione si nuotasse si 
        finiva contro una parete dura, invalicabile, che ci stringeva in un mondo 
        sempre più angusto, dove spinte e irritazione stavano sostituendo 
        l’iniziale armonia. 
         
        E fu proprio in uno di quei momenti di ressa intorno a quel buco di cielo 
        dal quale cadeva il cibo che fui nuovamente travolto dal più cupo 
        dei terrori: alla comparsa della solita grande ombra qualcosa mi tolse 
        violentemente il respiro, mi torse lo stomaco e mi acceco in una griglia 
        di luce.  
        Mi ritrovai a soffocare coricato su un fianco, fuori, fuori, per la prima 
        volta dal mio mondo, fuori dall’acqua. Sentivo rumori assurdamente 
        a scatti e ondeggiavo, era come se qualcosa mi facesse nuotare appeso 
        al niente. 
        E quando, oltre l’aria, anche la paura aveva ormai abbandonato il 
        mio cuore, ecco l’acqua tornare a fluire nelle mie membra, ero tornato 
        dentro il mio mondo. 
        Certo non mi guardai intorno, con il cuore trafitto dalla paura nuotai 
        precipitosamente alla cieca, per andare a sbattere contro un sasso e dietro 
        nascondermi. 
         
        Probabilmente sarei ancora rintanato in quel nascondiglio, con gli opercoli 
        sussultanti, se un lieve ondeggiare di pinne non avesse richiamato la 
        mia attenzione. Alzai lo sguardo e vidi due macchie rossastre con musi 
        amichevoli osservarmi curiosi. 
        Non so, forse fu la situazione particolare, la paura che aveva innalzato 
        i miei sensi, o chissà cosa, ma per la prima volta percepii che 
        non eravamo tutti uguali. Uno strano, lieve prurito mi rese particolarmente 
        attraente il mio simile più piccolo, che per una particolarità 
        cromatica, aveva la testa bianca ma le labbra colorate di rosso. Da quel 
        momento l’avrei chiamata Labbrarosse. 
        Il secondo ospite, era sì simpatico, ma non esercitava su me nessuna 
        attrattiva particolare, anzi, essendo anche discretamente robusto lo chiamai 
        Thor.  
         
        Diventammo amici inseparabili, passando il nostro tempo ad inseguirci 
        in quel nuovo mondo, tutto sommato abbastanza grande; pensate occorrevano 
        ben dieci spinte di coda per arrivare alla liscia parete della sua fine. 
        Certo non voglio dire che non ci fossero problemi, a volte io e Thor ci 
        prendevamo a pinnate pur di essere i primi a nuotare dietro a Labbrarosse, 
        per essere il primo a solleticarle l’addome con i miei tubercoli. 
        Immagino anche che Grandeombra, il quale regolarmente ci toglieva la fame, 
        non trovasse piacevole la voracità con la quale inghiottivamo quelle 
        piccole perline frutto dei nostri giochi. 
         
        Anche se tutto non era perfetto il regalo che Grandeombra decise di farci 
        fu decisamente sgradito: un nuovo ospite che avrebbe cambiato tutto, che 
        avrebbe spento la nostra gioia. 
        A un primo sguardo il nuovo pinnuto non era niente di che, più 
        o meno lungo come me, ma magrolino, con una livrea metallica e strano 
        un altro occhio sul fianco. Non mi chiedete il perché, ma subito 
        lo chiamai Americano. 
        Inizialmente cercai di farci amicizia, gli detti qualche leggera musata 
        sul fianco, ma lui per tutta risposta mi mostrò la sua fitta fila 
        di denti. 
        Per qualche giorno non successe niente di particolare, ma poi iniziarono 
        i primi scontri. In particolar modo durante la distribuzione del cibo. 
        L’Americano non si faceva scrupolo d’infliggerci anche dei 
        morsi pur di accaparrarsi i bocconi più succulenti. 
         
        Io ero arrabbiato per quel comportamento assurdo, ma non so, qualcosa 
        m’impediva di reagire. Cercavo di prendere velocemente i primi fiocchi 
        di cibo che cadevano in acqua e scappavo veloce appena il bullo si avvicinava. 
        La povera Labbrarosse era spaventatissima, rimaneva sempre nascosta, ormai 
        non usciva più neanche per mangiare e dimagriva a vista d’occhio. 
        E Thor, e Thor era diverso; certo era grosso, ma soprattutto era coraggioso 
        e mal sopportava quelle prepotenze, così non passava giorno che 
        non si azzuffasse con l’Americano. Ma per quanto fosse più 
        robusto era sempre lui che usciva da quegli scontri con qualche scaglia 
        in meno. 
         
        Finché un giorno, un brutto giorno, Grandeombra invece di darci 
        le solite scaglie buttò in acqua qualcosa di rosso che si dimenava, 
        qualcosa che accese la voracità dell’Americano e di Thor 
        che si gettarono avidi e furiosi su quell’inaspettata preda, che 
        si avventarono pazzi di rabbia l’uno contro l’altro. 
        All’inizio mi sembrò, sperai che Thor avesse la meglio, ma 
        ben presto fu chiaro che era l’Americano a infliggere i colpi più 
        duri. Non sapevo che fare, quella carogna stava massacrando l’unico 
        che aveva avuto il coraggio di fronteggiarlo, ma io non riuscivo a risolvere 
        la mia paura, fino a quando un colpo particolarmente violento al ventre 
        rovesciò il mio povero amico, spingendomi a farmi sotto, ma appena 
        quell’orribile essere rivolse a me la sua mascella, rapido come 
        la paura scappai vergognoso e umiliato il più lontano possibile, 
        con Thor che fluttuava inerme, vittima degli ultimi crudeli attacchi dell’Americano. 
         
        Dovette tramontare il pallido sole perché trovassi il coraggio 
        di accostarmi al mio amico ormai rantolante. Con il muso gli detti leggeri 
        colpetti sulla bocca, provai anche a spingerlo verso l’alto sperando 
        che riprendesse a nuotare, ma lo sapevo, era inutile. Dopo poco i suoi 
        opercoli smisero d’ingoiare sangue. 
         
        Il mattino seguente Grandeombra raccolse il corpo privo di vita di Thor 
        e catturò il feroce Americano. Sperai che le cose sarebbero tornate 
        alla normalità. Sì è vero era un pensiero egoistico, 
        il mio amico era morto, e un po’ anche per colpa mia che non avevo 
        avuto il coraggio di aiutarlo, ma almeno avrei avuto Labbrarosse tutta 
        sola per me. 
         
        Ma il destino aveva ormai deciso che le cose non andassero come avrei 
        voluto, anzi decise d’infierire. Quando nuotavamo insieme la mia 
        compagna faticava a mantenere la mia cadenza di pinnate. Io la incitavo, 
        ma le sue splendide labbra rosse erano come trapassare da una smorfia 
        di tristezza e di dolore. Poi non riuscì più ad accompagnarmi, 
        neanche per brevi tratti e passava quasi tutto il tempo nascosta dietro 
        un sasso, smettendo anche di mangiare. 
        Quando le sue scaglie iniziarono ad alzarsi Grandeombra la prese. Avevo 
        imparato che in quei casi ti mettevano in piccoli mondi dai quali non 
        tornavi più. 
         
        Mentre veniva sollevata dall'acqua incrociai un'ultima volta il suo sguardo, 
        ed ebbi l’impressione che mi sussurrasse: “addio Rosso, è 
        stato bello nuotare con te vicino al mio cuore".  
         
        O forse no, dietro il suo sguardo non c'era più niente. 
      Nota dell’autore. 
        Rosso continuò a nuotare da solo nel suo piccolo mondo acquatico 
        per circa due anni, poi vedendolo ormai troppo grande e sempre triste 
        Grandeombra decise di liberarlo in una grande bacino d’acqua urbano 
        popolato da altri suoi simili. 
         
        Non so se rosso è ancora vivo, ma mi sembra di sentire il suo stupore 
        per quel nuovo sole forte e luminoso. 
       
      4 ottobre 2020 
       
       |